Ho trascorso qualche mese a Siviglia per lavoro due estati fa. Ero solita recarmi a lavoro a piedi. Durante il tragitto mi sono imbattuta per circa tre settimane in un gruppo di operai che lavoravano alla manutenzione di una casa. Ho subito per una decina di giorni i loro commenti lascivi, i loro fischi di richiamo come fossi un cane, le loro risate da branco come se io non fossi un essere umano degno di rispetto. All’undicesimo giorno, stanca di dover abbassare lo sguardo quasi vergognandomi del mio fisico prorompente, del mio corpo da “donna”, ho iniziato a pregarli gentilmente di porre fine a quello strazio a cui ero costretta ogni giorno, senza ottenere alcun risultato se non addirittura un incremento dei loro fastidiosi atteggiamenti. Ogni giorno che passava, mi rivolgevo loro sempre più innervosita, finché un mattino uno di loro mi urla dietro “Cásate conmigo”, ovvero “Sposami”, con successiva sequenza di schiocco di labbra a simulare i baci che solitamente si usano per richiamare un gatto, seguito dalle risate corali dei suoi colleghi. Mi sono sentita profondamente umiliata. Presa dalla rabbia accumulata per tre intere settimane ho aperto una bottiglietta d’acqua che avevo in borsa e gli ho lanciato il contenuto addosso. Ho iniziato a urlargli contro che non dovevano permettersi di trattarmi così, che non ero un gatto, ma un essere umano esattamente come loro e meritavo lo stesso identico rispetto riservato a loro. Sono rimasti tutti impietriti e hanno iniziato a biascicare qualcosa che voleva assomigliare a delle scuse, mi guardavano come se fossi pazza, come se il mio gesto fosse piovuto dal cielo senza una reale motivazione. Avrei voluto evitare quella reazione così violenta, ma le mie suppliche dei giorni precedenti pareva fossero mute, come se loro non fossero in grado di udirle. Mi sono anche vergognata per essermi comportata così. Ho pensato che magari avrei dovuto stare al gioco e perché no, sentirmi addirittura lusingata. Ma in un mondo che possa definirsi civile, nessun essere umano è richiamato con dei fischi o dei bacetti, soprattutto se dimostra di non gradire tali manifestazioni. Nonostante sapessi di essere dalla parte della ragione (tralasciando quel momento di ira funesta), i giorni successivi ho deciso di cambiare tragitto, perché quasi mi sentivo in colpa per averli “offesi” in quel modo. Insomma: una delle tante vittime di un mondo in cui le regole vengono dettate dagli uomini.